La Sonnambula a Catania

Rewiew by Natalia Di Bartolo ©dibartolocritic


Diversamente da altre opere in cartellone quest’anno al teatro massimo Bellini di Catania, “La sonnambula” di Vincenzo Bellini, andata in scena il 25 maggio 2016, era stata annunciata come in sordina. Forse cautamente, perché c’è sempre grande attesa nella città etnea riguardo alla messa in scena delle opere del grande concittadino e lo dimostra ogni volta il teatro che si riempie, con gli animi degli ascoltatori colmi di aspettative, ma reduci spesso, purtroppo, da grandi delusioni.

Invece bisogna notare come questa edizione de La sonnambula sia andata in scena decorosamente, senza troppo turbare gli animi dei melomani, né quelli dei curiosi neofiti.

Buon per i neofiti aver trovato una messa in scena tradizionale, con i riprodotti e sia pure ingombranti fondali del Sanquirico (1831). Variopinta, si direbbe, in questo caso, la regia di Alessandro Londei, che ha curato scenografia e regia insieme.

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Il regista, di scuola romana, ha volutamente assecondato la tradizione, ma ha strafatto ogni tanto in inventiva quanto a porsi soluzioni ipotetiche dei tanti perché dell’esile trama. La ricostruzione del perché il conte Rodolfo fosse stranamente claudicante, poi, è stata la più gratuita. Perdersi in particolari inventati come questo fa scadere l’insieme, oltretutto avendovi applicato a tratti intrusioni nella commedia dell’arte che poco si addicevano al contesto, soprattutto all’inizio, in cui le note belliniane sono state sottolineate a tempo con movimenti registici assai poco apprezzabili.

Ad ogni modo, gli elementi di “disturbo” allo sviluppo della messa in scena si sono rivelati limitati in numero e qualità e, per fortuna, musicalmente, l’opera si è dimostrata ascoltabile.13275539_570757376418659_409903921_o

Su tutti imperava la discontinuità, però, del direttore d’orchestra, il M° Sebastiano Rolli, che strizzava l’occhio a illustri predecessori d’oltreoceano (ancora oggi?) soprattutto nei momenti di lirismo, porgendoli all’ascoltatore eccessivamente stiracchiati. Si riprendeva però nei concertati, forse lanciandosi anche troppo in corsa, sia pure, tutto sommato, gradevolmente.

Ma il risultato d’insieme, in tal modo, si è dimostrato discontinuo, sgranato; a volte si udiva l’ottima orchestra del Bellini lanciata senza freno, poiché dominarla nelle partiture bellinane facile non è…ma proprio per questo si richiedono per opere di tal fatta direttori di grande e provata capacità.

Il Rolli trarrà sicuramente vantaggio da questa esperienza, per amalgamare il proprio polso direttoriale, prendere in pugno la compagine orchestrale con maggiore piglio, fluidificare l’approccio con la partitura e, nelle dinamiche, non badare solo ai piano e pianissimo, ma anche ai forte e fortissimo.

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E a questo proposito, innanzitutto, allora, lode ai coloriti del coro del teatro massimo Bellini e, ovviamente al suo direttore della serata, il M° Gaetano Costa. Decisamente migliorato il risultato complessivo della compagine corale, rispetto ad altre performances sotto altra direzione. Il Coro catanese è formato da professionisti capaci: basta saperlo ben dirigere. E’ stato un piacere “ritrovarlo”.

Quanto alle voci della serata, un ingresso strepitoso faceva presagire nella siberiana Irina Dubrovskaia un’Amina che sembrava potesse essere una rivelazione. In effetti, gran bella pasta di voce, bei risuonatori, ma, andando avanti nella parte, ancora poca esperienza sia del palcoscenico che della partitura belliniana, con la quale si confrontava in scena per la terza volta. Un soprano decisamente promettente, dotato di sovracuti, ma da affinare sotto ogni aspetto: il divino “Ah non credea mirarti”, non le stava bene per nulla, purtroppo, né come tonalità, né come interpretazione. Forse Bellini fa paura, soprattutto a Catania: è umanissimo…E i grandi interpreti devono saper convivere con la paura, se non riuscire a superarla. Si augura a questa promettente giovane interprete un percorso fatto di perfezionamento nelle agilità, nell’emissione di acuti e sovracuti e di autocontrollo emozionale.

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Ha dato il massimo che potessero i limitati mezzi vocali a propria disposizione il messicano Jesus Leon, Elvino, carente negli acuti e con sovracuti assolutamente appannati, afferrati per i capelli…modesta anche la proiezione, ma garbata l’interpretazione.

Garbati anche la Lisa di Giulia Semenzato ed il conte Rodolfo di Dario Russo, insolitamente claudicante per disposizioni registiche, che ha prestato al personaggio la propria vocalità di rilievo, mostrando però anch’egli la necessità di affinarsi nel ruolo belliniano, donando al conte un timbro piuttosto scabro e certamente da mettere a punto nella parte.

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Corretti anche i comprimari; graziosi e variopinti i costumi di Veronica Patuelli, illuminati fose in maniera troppo folkloristica dalle luci di Salvatore da Campo.

Una Sonnambula tutto sommato fruibile, che ha destato qualche perplessità nei melomani più accaniti, ma anche consensi complessivi dal pubblico, nonché applausi agli interpreti, soprattutto alla fine dello spettacolo.

Natalia Di Bartolo – © dibartolocritic

 

PHOTOS © Giacomo Orlando