Opera, vezzi e malvezzi: il concerto estivo della Diva

Written by Natalia Di Bartolo —


In periodo estivo, si sa, ogni chiostro, cortile, androne, angolo all’aperto, soprattutto delle italiche cittadine rinomate per la propria valenza turistica, si riempie di eventi e tra questi, ovviamente, non può mancare il concerto d’opera della diva, che nel frattempo s’abbronza in vacanza sulla spiaggia vicina.

Ovviamente, i nostri tre consueti spettatori, l’esigente, il paziente e quello di bocca buona, sono all’erta: mai perdersi i migliori eventi!

Gran Concerto lirico di mezza estate sotto le stelle cadenti di San Lorenzo”: titolo dell’evento prescelto dai tre…Lo spettatore esigente lo ha scelto oculatamente, dopo essersi informato su tutti gli eventi in Italia nell’arco dell’intera estate, poiché è tra i più interessanti e quello solo si può permettere, per disponibilità economica e per distanza da casa; lo spettatore paziente si è fatto orientare solo dall’aver sentito nominare la diva e dalla relativa vicinanza del luogo; quello di bocca buona si è lasciato convincere dall’amica, soprano secondo del coro del teatro della sua città, che sostiene la diva protagonista del concerto essere una tra le più chiacchierate sulla piazza; e approfitta del fatto che la ottantenne zia Ernestina abiti a due passi dallo storico ambiente medievale in cui si svolgerà l’evento di lirica: buono per riposarsi, mangiare e pernottare, con la scusa della visita all’amata parente dopo anni di totale oblio.

Lirica”, questo termine abusato, mutuato dalla Letteratura e prestato alla musica, non va giù allo spettatore esigente…”La lirica la scriveva Leopardi!” sbuffa rileggendo la locandina affissa sugli storici muri della cittadina dove si è recato in pullman, partendo da casa alle due del pomeriggio, 49° all’ombra, 98% di umidità. Ritorno notturno? Incognita della serata, ma pur di ascoltare la tanto decantata diva dal vivo, troverà il mezzo…anche a piedi, purché soddisfatto!

Inizio del concerto: h.21,00. “Tarduccio…”, riflette ingannando le cinque ore d’attesa subite per mancanza di coincidenza oraria del pullman, visitando le bellezze storiche e monumentali della cittadina medievale e pregustando le finezze intepretative della diva. Eppure non si fida, se prima non l’ascolta con le proprie orecchie: borbotta l’ormai storica sua frase: “Me la voglio sentire tutta!” e giocherella nel frattempo col biglietto del concerto acquistato su internet oltre sei mesi prima.

Lo spettatore paziente è partito in auto con la moglie, perché il figlio adolescente si è rifiutato di seguire i genitori in trasferta. E’ arrivato un paio d’ore prima, giusto in tempo per parcheggiare fuori dalle mura merlate della città, percorrere a piedi, in salita, i quattro kilometri di storica strada lastricata in pietra vulcanica, chiusa al traffico ed incandescente per il sole, che lo dividono dal luogo deputato, acquistare i biglietti (inutile farlo prima, tanto c’è caldo e non ci sarà granché gente) e, appena hanno aperto al pubblico, andare a sedersi al proprio posto con moglie al fianco. “Hai messo i tacchi alti? Te lo avevo detto!”

Lo spettatore di bocca buona è arrivato all’ultimo momento, masticando ancora i dolcetti di zia Ernestina, perché giustamente “Comincia tardi e poi ci viene fame”, ma non ha mai visitato la città in vita sua: ne conosce solo i bar del centro.

“Dove diavolo sarà questo Cortile nel Convento dei Frati Cistercensi, oggi sede del “Centro Mondiale Culturale di Diffusione Internazionale della Lirica tra il Pubblico di Melomani Intenditori e Neofiti”?”. Entrando in un negozio, lo chiede al tabaccaio e lo trova addormentato dietro il bancone. “Forse…”, risponde costui, svegliandosi di soprassalto, “…Dovrebbe essere di fronte al panificio lì in piazza, poco più avanti, girando l’angolo a sinistra…Là…sì!” esclama, roteando le braccia “…Mi pare che sia là dove vede quegli ombrelloni bianchi del caffè, appresso al fruttivendolo…e poi subito dopo a destra…Magari, arrivato là, chieda di nuovo…” Dice e ripiomba nel sonno. Si becca una lode alla popolazione informata dei luoghi turistici.

Insomma, appropinquandosi l’orario d’inizio, entrati tutti e tre i nostri spettatori e relative accompagnatrici nel monumentale Convento dei frati Cistercensi, sede del C.M.C.D.D.I.D.L.T.I.P.D.M.I.E.N., trovano un enorme spazio assolutamente all’aperto, con in fondo un gigantesco ed altissimo palco coperto, un pianoforte gran coda esposto all’umidità dalle tre del pomeriggio e gonfio come un tronco galleggiante, pochi riflettori accesi orientati uno a destra e l’altro a manca e potenti mezzi di amplificazione pronti all’uopo.

L’esigente si guarda attorno stranito, scorge i microfoni, trasale e inorridisce: “Oddio! La diva amplificata?! Ma come si può? Lo dicevo io! Luogo troppo aperto: inadatto assolutamente all’esecuzione di concerti di questo genere! Qui i pii frati passeggiavano dopo aver recitato il Vespero, ma in silenzio! Questo luogo non è nato per accogliere i suoni e per di più quelli d’un concerto d’Opera…ma neanche le voci sussurranti in preghiera, ma neanche il cinguettio degli uccelli! Come hanno potuto organizzare qui un evento tanto rilevante?” Già la rabbia ribolle…Per fortuna è in prima fila. Sa che non è l’ideale, ma ama guardare, oltre che ascoltare e poi, si tratta di un concerto per voce e pianoforte: vuole vedere anche le mani del pianista. Ha prenotato il posto on line a platea ancora vuota e adesso si gode il privilegio.

Il paziente e la moglie notano i microfoni, ma li giustificano, dato l’ambiente all’aperto storicamente così seducente; non se la passano male, quanto a posti, tranne la moglie, che ritene il proprio un po’ laterale…”Facciamo cambio?” E, trionfante, si siede al posto del marito, pregustando una visuale migliore sulla toilette della diva.

Quello di bocca buona, entrato gratis con l’amica soprano che ha ottenuto i biglietti riservati (tanto il sindaco e l’assessore non vengono mai e se vengono vi spostate) allertando il giorno prima la cugina, collega di palestra dell’addetta stampa dell’organizzazione, si accorge solo come lì faccia meno caldo del previsto, loda in cuor suo la scelta conventuale degli antichi frati, si sventola col programma e si rilassa.

E, alla fine, ecco tutti seduti ai propri posti. Programma di sala, eccezionalmente gratuito per gli astanti, stampato a lettere microscopiche, accanto alla gigantografia a colori della faccia della diva e al nome sconosciuto del pianista autoctono…Nella penombra, i più volenterosi riescono a leggerlo.

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Dodici Arie da Camera di A. Cozzi

Intervallo

O mio babbino caro da “Gianni Schicchi” di G. Puccini

Pace, pace da “La forza del destino” di G. Verdi

Der hölle rache, da “Die Zauberflöte” di W.A. Mozart

Stride la vampa da “Il trovatore” di G. Verdi

Lo spettatore esigente prima strabuzza gli occhi e poi s’indigna: “Ma chi si crede di essere, questa? Ma neanche la Callas! Certo che si rovinano le voci: non sanno cosa cantare! E’ un leggero e coloratura per giunta, un lirico più o meno spinto, un drammatico o un mezzosoprano? Odio queste classificazioni, ma è impossibile che possa cantare tutto ciò! E poi inizia con le arie da Camera di questo tale Aleandro Cozzi…”

Legge il programma: “Aleandro Cozzi (1898-1998), genio di Sopramonte di Sotto. Le “Dodici Arie lungamente ponderate” sono considerate il suo capolavoro, insieme all’opera “Sofronide e Palmiero”; furono composte tra il 1904 ed il 1964, ispirate alle arie d’imitazione tostiana, su versi in rima dello stesso Cozzi. Furono portate alla ribalta e rese celebri dal grande tenore Rocco Strozzagalli (1925-1972), gloria anch’egli della suddetta cittadina italica ed a cui è ivi intitolato il Gran Teatro Comunale dell’Opera”.

“Ma chi […] era questo Cozzi?” si fa sfuggire in involontaria assonanza lo spettatore esigente, facendo volare il programma di sala, “E questo Strozzagalli? Celebri? Ispirazione alle arie d’imitazione? Orroreeee!!! Dodici? Saranno di una noia mortale! E io che non ho portato il fischietto che usavo all’Arena di Verona quando Nello Dannati dirigeva sonnecchiando la trentesima recita dell’Aida: peccato!” E digrigna i denti rabbioso, scuotendo la testa. “Ci sarà da stare a sentire!”

Lo spettatore paziente ha la sensazione che in effetti qualcosa non quadri, in quel programma, ma attende gli eventi fiducioso. Lo spettatore di bocca buona si esalta: conosce solo i nomi degli autori (tranne il Cozzi), e qualche titolo in italiano, ma leggendoli così celebri, tutto sarà all’altezza della fama di chi canta: : “Peccato, manca il brindisi della Traviata!” – rileva – “Però…che programma!”

Ma d’un tratto, venti minuti dopo l’annunciato orario d’inizio, la Natura sospende il proprio corso, il Tempo si ferma in deferente omaggio: la diva compare in palcoscenico, accolta dagli applausi entusiasti dei fans arrivati in carovana il giorno prima ad affollare il bed and breakfast più a buon mercato della zona e la platea, sguinzagliandosi ovunque.

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Eccola: capelli corvini appena usciti da sotto il cappellone di paglia da spiaggia e sbigodinati di fresco a boccoli, abito rosso fuoco scintillante di taffetà rigido con fiocco geisha al centro del lato B, orlo debitamente asimmetrico con vista panoramica inguinale sulla gamba destra e, di traverso, anche su quella sinistra; décollete completo con segnale dell’abbronzatura sulla scollatura fronte/retro, poppe rigogliose appena rifatte e omeri abbondanti e ben torniti al vento, collana di strass giganti e lampeggianti, orecchini lampadario e tacco 12 con zeppa laminata. Una visione!

Lo spettatore esigente, però, più che guardare lei, guarda il microfono che le si para davanti. Grugnisce contrariato e poi finalmente si accorge del collier scintillante, prima, e del viso truccatissimo, poi, che somiglia a quello del programma di sala, ma ha qualcosa di diverso…Ma cosa? ”Ecco cosa!” realizza in un’improvvisa illuminazione: una ventina d’anni e tre o quattro lifting e ritocchi agli zigomi ed al naso in più!

Finalmente è buio e il concerto comincia: lo spettatore esigente ha la tachicardia, quello paziente trattiene il respiro, quello di bocca buona mastica l’ultimo dolcetto rubato a zia Ernestina e sorride beato, pronto a godersi lo spettacolo.

Il programma inizia con la prima delle dodici Arie da Camera del Cozzi, rese celebri dallo Strozzagalli ma all’uopo adattate per soprano. E già, prima dello schiudersi delle fiammanti, divine labbra, sapientemente modellate a canotto dal miglior chiururgo estetico sulla piazza internazionale, lo spettatore esigente si chiede: “Ma li avrà fatti i vocalizzi?”

In effetti la diva non li ha fatti, perché ha ritardato ad arrivare per via dell’auto dell’Organizzazione che avrebbe dovuto portarla dalla spiaggia a Convento, ma che non era giunta, perché la moglie dell’autista aveva avuto le doglie all’improvviso.

All’ultimo minuto, attaccata al cellulare protestando con la Direzione, la diva, che era andata al mare da sola lasciando il bebé sfornato di fresco ad uno stuolo di baby sitter e istitutrici, aveva fatto chiamare un taxi dal Lido. Ma i vigili urbani, inflessibili anche di fronte ai suoi suadenti sorrisi, non l’avevano lasciata passare dal centro storico per l’assoluto divieto d’ingresso auto nella zona pedonale: il taxi era abusivo!

Urlante e attaccata al cellulare, la diva, dunque, s’era fatta a piedi, in prendisole, zatteroni, cappellone e occhialoni antifans, tutta la salita, dalla porta d’ingresso alle mura al convento, e aveva appena avuto il tempo di vestirsi e truccarsi, assistita dai fans più adoranti che l’avevano attesa all’ingresso del convento dalle 7 del mattino…”La prossima volta voglio la Limousine!” aveva esclamato furibonda all’arrivo, chiudendo la chiamata ed estraendo le estremità fumanti dagli zatteroni. Ma della voce non s’era preoccupata: con il Cozzi si sarebbe sciolta di sicuro…E poi, tanto, c’era il microfono: lo aveva richiesto espressamente…

Giunta adesso alla ribalta e sotto i riflettori, che, ignorando il proscenio, puntano soprattutto sul pianoforte riflettente, dall’alto dei tacchi 12, la diva, piazzandosi al centro del palco, lancia uno sguardo alla platea: maggioranza di uomini! Bene! E si gira sapientemente di tre quarti, a favore di sguardi esploranti e, soprattutto, di microfono, badando bene che il leggìo con lo spartito, issato ad altezza ginocchia, non le copra le gambe: lo afferra come un bastone di scopa e lo sposta di lato. Che importa se senza occhiali non vede un bel niente? Sa tutto a memoria e poi saprà pure improvvisare, no?mqI8TWfupuFqYUHjCeqc7-w

Inizio: pianista che, con ampio gesto e sorriso estatico verso lo spettatore esigente che freme, sembra dover attaccare per lo meno un brano di Rachmaninov. Poggia, invece, circa tre dita e mezzo per mano sulla tastiera, le dà l’accordo e si ferma.

Nel silenzio, attacco vocale regolarmente dal basso con brusca impennata in verticale ad afferrare il tono. Voce che sibila, fissa, di testa, stile corale polifonica della parrocchia.

Il pianista annaspa con i tempi perché la diva stacca i legati e lega gli staccati, acciacca le appoggiature e appoggia le acciaccature…però lo fa come se volesse baciare il microfono e con tale grazia da suscitare brividi di sensualità in platea. Ogni tanto si vede costretta a sostenere il fiato o le scoppiano le vene del collo. Del resto, perché tirare fuori gli armonici così presto? Il diaframma si riposi quanto più possibile e la maschera anche: con questo caldo, il trucco durerà di più e le cicatrici fresche dell’ultimo lifting si stireranno meno. Gli acuti, poi, fissi anch’essi: danno più il senso romantico delle arie da salotto anni ’50 imitazione fine ‘800 e omaggiano la perizia dello Strozzagalli, maestro del falsettone spacciato per piano e pianissimo. Il Canto è anche questione di buon gusto!

Paralizzato dall’orrore, ancora a metà della prima aria, lo spettatore esigente è già una belva: “Ma cosa adattano? Ma cosa cantano? Dov’è la voce? Che pastrocchio indegno è questo? Ce ne sono altre undici!”.

Bad Singer

Lo spettatore paziente sa come certe scelte, adattamenti e interpretazioni siano alquanto arbitrari, talvolta, ma per la sua acclarata pazienza, osserva e attende che le arie si esauriscano. Quello di bocca buona non ascolta: ha troppo da fare a guardare le gambe della diva e, nell’arco delle dodici arie arriva ad esaminarle anche le poppe in maniera sufficiente…Riserva il resto dell’ispezione esaustiva per il seguito del programma, prefiggendosi di inserire, eventualmente, qualche momento di ascolto. Il soprano secondo, al suo fianco, rosica: “Io canto meglio! Che ci fa quella sciantosa rifatta lassù?”

Le arie sono finite. Lo spettatore esigente è distrutto, quello paziente si sventola, quello di bocca buona si alza di scatto a platea ancora al buio e cerca il bar. Al riaccendersi delle luci, il pubblico, ansante per il caldo, applaude con entusiasmo la scollatura della diva, che s’inchina con la stessa grazia che se facesse le flessioni, nonostante gli sforzi del Maestro di danza classica dell’Opéra de Paris che la segue tutti i giorni privatamente. I fans accalorati già iniziano a rumoreggiare d’entusiasmo. Dei nostri tre spettatori solo quello di bocca buona ha accennato un applauso.

Ben conscia di come si sia appositamente abbigliata ed acconciata, la diva, all’ultima battuta della dodicesima Aria, ha tirato un sospiro di sollievo: la prima parte è andata, quei tacchi la uccidono, ma come slanciano le gambe, però!…”‘Na cozza ‘sto Cozzi, poi, ma quanto è utile! Come avrò cantato? Non ne ho idea…vabbè, ma anche se ho fatto schifo nessuno se n’è accorto.” Non sa della presenza dello spettatore esigente…

I fans, debitamente indottrinati, applaudono senza riserve quella prima parte così ben riuscita e, costituendo il buoni ¾ del pubblico, ne decretano il successo. Alcuni di loro già si avvicinano al palco e porgono fiori. La diva, che aveva fatti scegliere quelli al cui polline non fosse allergica, li afferra con la stessa eleganza che se afferrasse una gallina per le zampe e sorride…sorride, dileguandosi col pianista dietro le quinte, in un dondolio altalenante del fiocco rosso retrostante, manovrato dal sapiente ancheggiare tanto a lungo studiato all’insaputa del Maestro di danza. I fans più idolatranti la seguono, se ne sentono gli schiamazzi, lì all’aperto. Per quelli non necessitano i microfoni.

L’intervallo è interminabile: la moglie del sindaco è giunta giusto alla fine della prima parte del concerto e il conciliabolo con la Diva sulle ultime tendenze della moda tra Berlino e Parigi tende a dilungarsi. I fans in visibilio scattano foto senza tregua al backstage.

lussuoso-paillettes-nero-satin-elasticizzato-vestito-sera-tpod11537E’ con “O mio babbino caro” che finalmente l’esibizione riprende. Gli spettatori sono annichiliti dal caldo e dall’attesa. La diva ha cambiato toilette. Adesso è tutta in nero corvino, come i capelli, tulle trasparente nei punti giusti, orlo regolarmente asimmetrico come il precendente, spacchi a sorpresa. Il brano però è celeberrimo ed è immancabile, in un concerto.

“Eccola!” esclama fra sé lo spettarore esigente, che neanche la guarda: finalmente sentiamone la voce nell’Opera!” Tende l’orecchio: “Ma non si capisce, però…Ma che fa? Certo! Me l’immagino: dopo dodici arie cantate così!” sibila, digrignando i denti astioso.

E mentre lo spettatore di bocca buona, finalmente, a quelle note celeberrime, distoglie lo sguardo dal ginocchio sinistro della diva, adesso in velata trasparenza, e inizia ad ascoltare, quello paziente anch’egli distoglie lo sguardo dalla protagonista, ma per guardare la moglie seduta al proprio fianco…e in questa sede si preferisce non riferirne le considerazioni.

La Diva, durante le note iniziali d’introduzione, considera che sarebbe meglio cominciare ad appoggiare qualche suono anche aiutandosi con la postura. E’ obbligata a spostare l’equilibrio su entrambe le gambe, ma un paio degli spacchi tendono a chiudersi e le ginocchia non si vedono più! Per ovviare all’inconveniente provvede ad abbassare il livello del décollete, appositamente creato a soffietto in quell’abito dalla stilista giapponese di fiducia: basta tirare un laccio alla vita e il tutto scende di almeno quattro centimetri. La manovra è sufficiente perché il pubblico non si accorga che il fiato non le sia bastato per un paio di frasi ed abbia pure spezzato in due le parole tre o quattro volte. Il pianista ha inseguito invano in più battute quel “lamento portato” che, denominato impropriamente “voce impostata”, ha reso celebre la diva, ma senza raggiungerla. Quando accelerava, lei rallentava e viceversa. In effetti sarebbe stato meglio provare prima almeno un’altra volta, però bisogna essere comprensivi con le celebrità: i brani famosi bisogna interpretarli con spiccata personalità e poi la diva ama troppo il mare per privarsene più di un’oretta per l’unica prova mattutina…

"Sorry, I'm finished."

Ma lo spettatore esigente eccome se se n’è accorto! Ha stretto i pugni furibondo e minaccia ritorsioni, mentre quello paziente riflette su come il caldo umido possa influire negativamente sul rendimento delle corde vocali e quello di bocca buona assapora in assoluto il calo della scollatura senza ascoltare una sola nota, comprovando così la perizia della stilista del Sol Levante.

Applausi scroscianti dei fans commossi, alla fine del brano pucciniano: I fiori cominciano a piovere anche da lontano: la diva ne raccoglie uno da terra e la scollatura va giù ancora: il pubblico è in visibilio.

Il pianista, che guarda la diva da angolazione diversa, stranito da cotanto riscontro popolare, anch’egli si alza e ringrazia timidamente, ma nessuno lo degna di uno sguardo. Ha sbagliato quattro note su cinque, ma era coperto dai portamenti, che, al contrario che nelle arie da camera, la diva ha adottato al posto del legato. Si risiede, si concentra e dà inizio al pezzo successivo.

Lo spettatore esigente vibra come una corda di violino: “Pace, pace”…La Forza! Leonora…“O rimembranze!”

La diva attacca: per far salire il fiato in maschera per il primo “Pace” ci vorrebbe la gru…Ma per flautarlo le si spezza la voce; si prepara al secondo, allora…e viene fuori un boato microfonato sulla “a” di “pace”, che viene poi portata e stirata come un chewing gum, come in altalena, prima della seconda sillaba “ce”.

Lo spettatore esigente non respira più, diventa pallido, poi bordeaux, infine viola, si alza furibondo, lancia in aria il programma che aveva raccolto da terra nell’intervallo ed esce dalla fila: “Basta!!! Non è possibile! – ruggisce, contenendo a stento la voce – La sopportazione umana ha un limite! E questa ancora deve cantare la Regina della Notte? Ma che si strozzi! Lei, il suo agente, l’organizzazione internazionale e pure i monaci cistercensi! Mai più!” E, tra la costernazione generale degli spettatori di prima fila a lui vicini, a cui pesta pure i piedi, si avvia al buio all’uscita, inciampando negli innumerevoli cavi dell’amplificazione diramati lungo tutto il pavimento del cortile…Non trova il varco e ancora inevitabilmente gli giungono dal palco, oltre che le occhiate torve della diva, anche altre frasi musicali che gli fanno urgere vieppiù il betabloccante serale che ricorda all’improvviso di aver dimenticato a casa.

Lo spettatore paziente resta seduto attonito, riflettendo quanto l’umidità non faccia male solo alle corde vocali, ma probabilmente anche alle tonsille, nonostante abbia sentito dire che le tonsille col canto lirico non c’entrino nulla. Pazienterà fino alla fine: sarà più riposato per affrontare il ritorno a piedi fuori dalle mura e questa volta la moglie coi tacchi sarà in discesa: occorrerà trattenerla!

Lo spettatore di bocca buona è estatico: che meraviglia! – esclama alla volta del soprano secondo, che, ad occhi sbarrati, ormai non ascolta più – Sembra la Callas nella registrazione live sotto la doccia sul panfilo di Onassis, piratata nel 1962 e19970361-cartoon-boss-arrabbiato recentemente caricata su youtube!”. Non se ne andrebbe per tutto l’oro del mondo.

I fans sono alle lacrime…

Finalmente lo spettatore esigente trova l’uscita, schiva una o due maschere che vorrebbero soccorrerlo nel vederlo in quelle condizioni e sbuca fuori, tra il folto gruppo di ultrà che hanno risparmiato i soldi del biglietto e ascoltano in trepida attesa all’uscita grazie all’amplificazione, armati di fasci di fiori e pile di programmi da farsi autografare.

Ma, in mezzo a costoro, prima di dedicarsi alla ricerca di una stanza in pensione per vegliare insonne in attesa del primo pullman, in partenza alle 5 del mattino, nulla lo priverebbe dell’unico piacere della serata, che si gode tutto andandosene: quello di esclamare tra la folla, a voce quanto più alta possibile e con l’indice puntato al cielo: “E alla fine, come bis, che canti SUICIDIO!”.

© Natalia Di Bartolo

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