Opera, vezzi e malvezzi: quando il tenore muore

By Natalia Di Bartolo —


Pathos, emozione: arriva il finale dell’Opera. Dopo averci sconvolti con le loro sventure, i nostri protagonisti si avviano verso l’ineluttabile proprio destino finale…anzi verso il finale ineluttabile del proprio destino: la morte in scena. Spesso tocca al tenore esalare l’ultimo respiro sulle tavole del palcoscenico.

E qui lo spettatore, già lagrimante, prepara la scorta di fazzoletti che si è portata dietro da casa, poiché la vicina di poltrona dell’abbonamento ai Concerti ha già visto alla prima l’Opera in questione e lo ha avvisato: le lacrime!!! Da versare tutte, fino all’ultima…non c’è scampo…

Ecco che l’orchestra si avvia alla stretta finale e allora il tenore…Ma…chi prendere come esempio? Semplice! Un morituro assoluto sul palcoscenico: Werther.

Sì, Werther è colui che impiega un atto intero a morire…tutto il quarto atto è imperniato sulla sua morte straziante…Chi meglio di lui?

Addirittura, al momento opportuno, si ode il colpo di pistola fatale. E lì si comincia ad obiettare: ma se Massenet lo aveva previsto in un punto preciso della partitura, perché il regista lo sposta due pagine prima? Quando si spara Werther? Insomma: ci si decida, perché l’emozione stringe la gola e non dà requie: già non sapere in che momento si udrà il botto mortale fa tremare lo spettatore assorto e lo spiazza: “Prendo o non prendo il fazzoletto? E quando lo prendo?”.

Ma ecco che finalmente la pistola spara. Meno male che era carica! Le pistole di Albert arrivano scariche a Werther o, come spesso viene mostrato, egli ne prende una ed ecco che la trova carica all’uopo? Un mistero irrisolto e irrisolvibile Non ci si chiede mai come sia possibile che Albert tenga cariche delle pistole che sono di solito esposte in una bacheca o comunque in giro per casa in una cassetta di legno. Chi se lo spiega?…

Non parliamo poi di quando il regista decide che il suicidio debba essere compiuto a sipario aperto. Si è visto Werther a cui la pistola, già puntata alla tempia, s’inceppava; Werther indeciso che non sapeva dove puntare la pistola, se alla tempia, alla gola o al petto; Werther così pignolo da cercare con suprema attenzione il punto preciso dove puntare la pistola, Werther che sparava dove capitava prima…Insomma: se i librettisti avessero fatto sì che si sparasse alla tempia come nel romanzo di Goethe, o alla gola, come avrebbero potuto far durare un’agonia cantata un atto intero? Ergo: era d’uopo che si sparasse al petto, per avere il tempo di cantare tutto il quarto atto. Perché farlo dubitare, dandogli questo tremendo dilemma in più? Estrema crudeltà! Lo spettatore freme.

Ma ecco che finalmente si è sparato, com’è scritto che sia. Charlotte accorre…Spesso è scalza (nella neve, la notte di Natale, in Germania!), a volte in abito da sera, altre in camicia da notte e vestaglia…insomma…eccola che arriva…e trova il suo amato riverso sul pavimento. Ma non sempre. A volte sta sul letto, ma perfino con le scarpe ai piedi (!)…altre volte è a terra, ma come? Seduto con le spalle appoggiate al letto (così la respirazione diaframmatica non ne soffre)…Oppure è addirittura in piedi ancora (un fenomeno clinico!) appoggiato al muro…Mai un Werther che cada per il verso giusto, a quanto pare, tranne rare eccezioni.

E il sangue? Ma tanto sangue! Ma così tanto, a volte, che sembra che lo abbiano squartato. Altre, invece, una piccola macchia all’altezza del cuore segnala il punto colpito; altre ancora il sangue è stampato standard sulla camicia e non se ne sparge neanche una goccia, a salvaguardia dei costumi.

Ma, cosa più importante di tutte: egli deve soffrire. Come soffre, povero Werther! E qui lo spettatore attende trepidante ogni suo sospiro, si adegua alla sua suprema sofferenza e lagrima, lagrima

Il tenore canta agonizzante: la musica è sublime, ma il Maestro ha deciso che il quarto atto è troppo lungo (avrà l’aereo in partenza), che i tempi scritti siano troppo lenti e allora accelera: l’agonia si abbrevia…Ma i tempi scritti devono essere lunghi, altrimenti lo strazio non si palesa. Quindi un altro Maestro, fin troppo ligio al dovere filologico, decide di allungarli ancora, facendo morire il protagonista anche di sfinimento, insieme allo spettatore esausto. Poi c’è il Maestro che decide come stringere o allargare i tempi a pagine alterne della partitura, perché altrimenti il tenore non tiene i fiati lunghi e il soprano boccheggia, evitando però di alterare i momenti orchestrali…Dov’è il Maestro giusto? Raramente lo si incontra sul podio. Lo spettatore esigente freme.

Insomma, il quarto atto si è avviato comunque nella più cupa tragedia e qui Werther deve cantare e soffrire simultaneamente. Come fare? Ma sì, la tosse è il rimedio sovrano: i Werther che tossiscono come la Traviata sono i più consueti, guardando bene di alternare la tosse agli acuti del soprano per non coprirli. Oppure è meglio tossire silenziosamente, ma è pericoloso, perché può essere scambiato per cattiva digestione, non per un colpo di tosse: molto poco tragico per un agonizzante! Meglio il soffrire catatonico, allora: il Werther catatonico è una delle soluzioni più indovinate e più virtuosistiche per il tenore morituro.

Sdraiato per terra, senza alcun sostegno sotto la testa, occhi chiusi, non reagisce neanche al bacio di Charlotte. Magnifico: un magistrale canto in posizione supina, la sensazione perfetta dell’agonia, la sofferenza allo stato puro: quella che non si vede ma si percepisce solo nel canto. Magari tutti i Werther morissero così bene!

Invece no! Lo spettatore viene colto da un moto di impressionato terrore nel vedere talvolta il moribondo alzarsi addirittura in piedi al canto natalizio dei bambini! Come fa uno che si è sparato al petto da oltre dieci minuti, che ha perso un ettolitro di sangue, che fino ad allora è stato pressoché privo di sensi, a trovare la forza di alzarsi in piedi e, trasognato, ascoltare il canto di Natale? Eppure succede! Lo spettatore resta col fazzoletto a mezz’aria tra gli occhi e il naso: un attimo di supence: come, dove e quando ricadrà? Perchè dovrà pure ricadere, se deve morire alla fine dell’atto!

Ed eccolo che prima di ricadere addirittura danza con Charlotte. Lo spettatore più esigente ripone il fazzoletto, si alza e se ne va…Quello paziente sopporta…quello di bocca buona, ammirato, prosegue nella lagrimazione…Comunque, chi resta attende che Werther ricada e ricade, infatti, con un tonfo impressionante. Meglio se sul letto, però: è più morbido; o sul sofà,  posto ivi all’uopo…ma meglio ancora se a terra: lì è il luogo deputato alla morte più straziante. Sul pavimento.

Il tenore ansima e canta, canta e ansima: troppo! Dov’è finita la linea di canto? Allora canta e non ansima. Sì ma è una morte indolore? Possibile? Oppure ansima e basta. E il canto? Mormora appena. No! Il momento è sublime.. Il canto non può passare inosservato a favore di contorsioni o estremi sfinimenti! Sporcare gli attacchi è il peggio; sfumare i finali è voluto? Lo spettatore sospende un istante d’asciugare le lacrime e se lo chiede…

Poi, peggio ancora se c’è, in francese, qualche imperfezione nella pronuncia…”Sì, ma il Divino Interprete lo pronunciava così”: ma me ne faccio un baffo, non era una fonte di pronunzia perfetta: vai a riascoltarlo e troverai un disastro ogni tre parole! E allora? Il Werther perfetto deve essere francese per forza? E qui lo spettatore esigente risponde: “Sì’!”…quello paziente: “Sarebbe meglio, ma una buona lezione di pronuncia potrebbe bastare”; quello di bocca buona continua a lagrimare e non si accorge di niente.

Ma ecco che giunge il momento: il tenore deve spirare. Ma come? Silenziosamente: è meglio per le corde e non si rischia di emettere qualche bruttura; teatralmente: si appoggia disperatamente sui gomiti, si solleva verso Charlotte, pronuncia “beni”, poi, senza badare alla cervicale, ricade di schianto, disarticolato; se catatonico bisogna che mostri che qualcosa accade…magari una mano che ricade inerte può bastare per incrementare qualche lacrima in platea.

L’acuto straziante di Charlotte segna questa fine tanto sofferta. Il Maestro dà potenza all’orchestra…le ultime battute: Fine dell’Opera.

E qui le parti s’invertono…e quando s’invertono accade che lo spettatore, perfino quello esigente, auspicabilmente estasiato, smetta di lagrimare riponendo i fazzoletti grondanti, si alzi dalla poltrona e torni a casa alla proprie faccende quotidiane, nel vago ricordo di quel Werther; mentre il tenore in persona resti a terra lagrimante alla fine dell’Opera, dimentico del sipario che dovrà riaprirsi; e poi, rialzandosi, prosegua durante gli applausi; e anche dopo, per tutta la serata, cena al ristorante compresa: e qui sta il miracolo dell’arte, se e quando si compie. Sì, perché quando è grande, il tenore, morendo, lagrima anche lui insieme allo spettatore e resta Werther per un bel po’ di tempo, apparentemente fino alla fine delle recite, ma, in cuor suo, per sempre.

Natalia Di Bartolo